Beethoven: Trois Sonates pour piano

Sonate op.7, op.31 n.2, op.110

Non c’è bisogno di anniversari per celebrare Beethoven, il compositore più studiato, più eseguito, più dibattuto della storia della musica, e forse il più importante; tuttavia, i 250 anni dalla sua nascita sono un’occasione per gettare, se possibile, una luce nuova su alcuni suoi capolavori. E’ con questo spirito che ho deciso di lasciare la mia umile testimonianza, nel mio sesto album solistico per Hortus, sul grande genio di Bonn, scegliendo per l’occasione le tre Sonate della mia vita. Ognuna di queste riveste infatti per me un particolare significato, emotivo e musicale; ciascuna rispecchia una parte della mia anima e suscita in me ricordi di esperienze indelebili. Non a caso, si tratta di opere appartenenti a ciascuno dei “tre stili” di Beethoven (termine di certo abusato, ma per certi versi ancora efficace): l’op.7, la sua prima “Grande Sonata”, anticipa molti tratti di brani posteriori come l’Appassionata e la Waldstein, ma è forse ancora più sconvolgente ed innovativa delle più celebri “sorelle”, con i suoi crescendo su note lunghe (di fatto “impossibili” al pianoforte), l’energia travolgente del primo movimento, del Minore nello Scherzo (con il primo ppp della storia…), della sezione in do minore nell’ultimo tempo. Sul Largo, non c’è molto da aggiungere al pensiero di Sviatoslav Richter: “un dialogo tra l’uomo e Dio”. La Tempesta è allo stesso tempo una delle opere pianistiche beethoveniane più celebri e misteriose, incastonata com’è tra quelle due gemme di leggerezza ed ironia che sono le altre due Sonate dell’op.31. In molti si sono affannati a cogliere l’eco shakespeariana del titolo, quando forse Beethoven non si riferiva, nella sua famosa suggestione, a questa Sonata, o ancor più probabilmente volle spiazzare l’interlocutore e tutti noi… Ciò che è certo è che si tratta di un brano di difficilissima collocazione, con colori e sonorità spesso crepuscolari: un capolavoro assoluto. La 110, infine, è l’opera beethoveniana a me più cara: è a mio parere il centro nevralgico delle ultime tre Sonate, è la più dolce e tormentata assieme, è la storia, in musica, di una vita, di una morte, e di una rinascita: è ciò di più vicino all’Assoluto che abbia mai ritrovato in un brano musicale. 

Matteo Fossi


Registrato a Sacile, Fazioli Concert Hall, novembre 2019

Editions Hortus, 2020

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